
Il cartello con l'originale denominazione ancora affisso
ai cancelli del sito produttivo Calolziese
In origine erano le “Trafilerie Brambilla Spa” con sede in Corso Europa, 82 a Calolziocorte, partita Iva 00367430162, REA Milano 301187 iscritta dal 26 marzo 1942, numero repertorio economico amministrativo Lecco 58115. Alla rilevazione del 31 dicembre 2015, secondo la visura camerale risultavano occupati: 53 addetti il primo trimestre, 51 il secondo, 35 il terzo e nessuno il quarto. La direzione amministrativa, aperta nel 1973 a Milano, era stata chiusa a fine 2001. Con il progressivo deterioramento della situazione economico-finanziaria, la società cambiava ragione sociale in Trafileria del Lario Spa, mantenendo inalterati oggetto sociale, sede operativa e numero di partita Iva. Il capitale sociale deliberato e versato era di 2.500.000 euro così suddiviso alla data del 15 ottobre 2013: 125mila azioni da 10 euro cad. per un totale di 1.250.000 euro (50%) a mani di Vittorio Brambilla classe 1941; 68.500 azioni pari a 685.000 euro (27,4%) a mani di Alessandro Valsecchi, classe 1964; 48.500 azioni pari a 485mila euro (19,4%) a mani di Annamaria Brambilla classe 1935; 5.000 azioni pari a 50mila euro (2%) detenute direttamente da Trafilerie del Lario Spa (in liquidazione); 3.000 azioni pari a 30mila euro (1,2%) a mani di Simona Valsecchi classe 1968. Liquidatore della società il lecchese Nicola Vaccani, classe 1966; curatore fallimentare Luigi Bolis di Lecco, classe 1943. Il collegio sindacale risultava così composto: Francesco Ercole, presidente, classe 1933 residente a Rivalta di Torino; Mario Ercole classe 1967 analogamente residente; Aida Tia, classe 1944 di Rivoli (TO). La storia recente della società aveva visto l’interessamento della “Celik Halat Ve Tel Sanayii Anonim Sirketi” mai approdata a buon fine. La Spa avviava le procedure di liquidazione nel 2013 dapprima con una richiesta di concordato preventivo, rigettata dal tribunale di Lecco nell’aprile del 2014 e nel settembre dello stesso anno veniva depositata la sentenza di fallimento con nomina del curatore fallimentare affinché esperisse eventuali possibilità di prosecuzione dell’attività. Ma i diversi tentativi di cessione di rami d’azienda non hanno sortito risultati determinando così la perdita di tutti i posti di lavoro. Ma questa è solo la storia “camerale” dell’azienda. Dietro c’è la vasta inchiesta che getta tutt’altra luce sul declino di questa storica industria lecchese.