Il racconto. 5 giorni su Tinder, 10 match di cui uno con una ragazza e 7 caffè in sospeso. Con sconosciuti
Abbiamo giocato, rendendoci però subito conto di farlo con in fuoco: utilizzando le nostre “credenziali” reali quasi senza volerlo siamo state costrette a “mettere in piazza” una serie di nostre immagini pescate dal sistema da un altro social network in un gioco di scatole cinesi che – nonostante le rassicurazioni indicate dal fornitore di servizi – ci è apparso subito pericoloso, in qualche modo fuori dal nostro controllo diretto. Lo abbiamo però fatto solo per testare come effettivamente per chiunque, anche per i ragazzini e le ragazzine, sia facile con dei semplici messaggini venire in contatto con perfetti sconosciuti, organizzare in pochi attimi incontri, passare dal virtuale al reale senza quasi rendersene conto ma allo stesso tempo lanciandosi in un salto nel buio senza avere in mano alcuna certezza.
Ecco dunque in forma di diario, autoirinoco, senza alcun genere di pretesa, un sunto della nostra – brevissima – esperienza con Tinder, applicazione per cellulare nata proprio per facilitare gli appuntamenti.
Ecco dunque in forma di diario, autoirinoco, senza alcun genere di pretesa, un sunto della nostra – brevissima – esperienza con Tinder, applicazione per cellulare nata proprio per facilitare gli appuntamenti.
Il primo contatto è avvenuto dopo 20 minuti dalla registrazione, senza sforzi particolari.
“Ciao, come stai?”, mi scrisse Mattia, il mio primo match su Tinder. Fu già quello, sono sincera, un approccio che mi lasciò perplessa: “perché chiedere come stai ad una completa sconosciuta?” pensai tra me e me. La risposta, in realtà, mi sarebbe arrivata nel giro di poco, semplicemente sperimentando e conoscendo la realtà dell'app con il logo di fuoco, ma fino a quel momento l'unica cosa di cui ero certa era che per addentrarmi nelle sconosciute dinamiche della chat non dovevo pormi troppe domande. Così, allo slogan di “è Tinder, bellezza!”, mi misi il cuore in pace dai miei tanti pregiudizi e decisi di giocarmi il primo match per ciò che era. “Ciao”, risposi semplicemente, tralasciando il come stessi e aggiungendo un simpatico smile per non sembrare troppo 'menosa'. Chiaramente dell'interesse per la domanda iniziale non ci fu traccia e subito Mattia lanciò la seconda esca: “di dove sei?”. Fu un passo in avanti: quella domanda, almeno, aveva senso e mi consentì tra l'altro di capire ciò che altri contatti mi avrebbero in seguito di confermato: “come stai” era una riproduzione di quel “how do u do?” un po' sorpassato e formale, al quale si risponde semplicemente “how do u do?”, una domanda per una altra domanda, uno scambio di cortesia senza senso, uno sciogli lingua fine a se stesso. Presi tempo prima di rispondere, e mi decisi a guardare la sua breve galleria di foto: Tinder consente infatti di selezionare non più di sei foto per il proprio profilo, che non son molte, ma quanto basta per farsi un'idea fisica di chi c'è dietro lo schermo. Non potei fare a meno di notare che la foto con cui Mattia si era presentato era decisamente un po' 'pretenziosa' rispetto alle altre che scorsi, ad ogni modo mi convinsi che in fondo facciamo tutti un po così: è solo l'arte di apparire nell'era delle cose 'smart'. Ci scambiammo qualche informazione: lui studiava, io lavoravo, ma fu una conversazione breve la nostra, non stimolata da particolare interesse e Mattia doveva averlo capito, così dopo breve mollò il colpo. Nemmeno il tempo di rendersene conto, che il mio telefonò tornò a suonare: “Congratulations, you have a new match!”. “Di già!”, pensai. Erano passati poco più di tre quarti d'ora e già avevo due potenziali ragazzi compatibili che volevano fare la mia conoscenza: “Tinder, is how people meet!”, i suoi inventori dovevano aver fatto centro. La foto di Luca, il nuovo ragazzo teoricamente compatibile con me, non mi lasciò indifferente, e anche la sua età anagrafica lo rendeva potenzialmente 'appetibile': 33 anni, occhi scuri, sorriso seducente e viso vagamente intrigante. L'unico dubbio che mi sorse fu inerente la distanza che ci separava: 274 km da dove mi trovavo io. “Il servizio di geolocalizzazione di Tinder è 'in palla' ”, avevo pensato, poiché al momento di indicare una distanza di riferimento per i miei potenziali incontri avevo inserito un tetto massimo di 50 km da Lecco. Ma il dubbio mi fu presto risolto: Luca era un pilota di linea e quella sera si trovava fuori per lavoro, motivo per cui risultava così distante da dove stavo io. Il pilota milanese esordì quindi con un altro “ciao, come stai?”, nello stesso stile del mio primo match. “Ma allora è un vizio!”, pensai, e tuttavia risposi più cordialmente “Bene, grazie, e tu?”. Luca mi riassunse in breve quello che faceva nella vita, e mi chiese qualche altra informazione su di me. Anche lì, però, non andammo oltre il 'che fai, di dove sei': semplicemente, dopo le prime domande, non sapevo proprio cosa dirgli. Il mio obiettivo su Tinder, d'altronde, era scoprire come funzionasse l'app più che conoscere concretamente delle persone, il che non rese certo brillanti i miei scambi dialogici. Il giorno seguente arrivarono altri tre match: Marco, Sebastiano e Carlo approcciarono in modo differente, finalmente. Il primo fece un'uscita piuttosto brillante riferendosi ai miei occhi, il secondo senza salutare ipotizzò il mio paese di provenienza, andandoci molto vicino e il terzo modificò l'inutile domanda di cortesia da 'Come stai? A 'Tutto bene?, come se ci fossimo visti il giorno prima. Riposi a tutti loro, e mi resi conto che Tinder stava iniziando a mostrare il suo potenziale: bando alle ciancie, nel giro di due o tre messaggini uno mi di loro mi chiese se avevo whatsapp, cercando implicitamente di accaparrarsi i mio numero di telefono, e gli altri due proposero il 'caffè di conoscenza', che è un evergreen intramontabile. Uno di loro, addirittura, lo propose in giornata: precocissimo! Guardai le loro foto e le brevi indicazioni fornite: ragazzi carini, non per niente io stessa avevo premuto sul simbolo 'cuoricino' indicando il mio apprezzamento quando Tinder mi aveva mostrato sullo schermo del cellulare le loro foto tra le innumerevoli proposte di ragazzi e ragazze della mia zona. Avevo iniziato così un denso viavai di 'cuoricino/croce', che mi ricordava tanto i 'mi piace/non mi piace più' di Facebook, o i 'ce l'ho/mi manca' delle figurine Panini. Anche la lista della spesa mi girava nella testa: lo compro, non lo compro, aspetto l'offerta. Ad ogni modo, 5 contatti nei primi due giorni, 3 proposte di uscire (quella di Mattia, il primo match, arrivò infatti il giorno seguente), una richiesta di numero di telefono (cosa che non ottenne mai) e un solo contatto andato 'a vuoto': i giochi erano fatti, senza troppo impegno. Se fosse stato nelle mie intenzioni, avrei potuto uscire con loro e vedere se quello che in seguito ridefinii 'il potere di Tinder' fosse in grado davvero di fare centro o meno. Proseguendo nella mia esperienza online, feci anche altri incontri virtuali: tra gli altri match simili in cui mi imbattei, ci fu anche quello con una ragazza. La differenza nella conversazione fu lampante: all'approccio più 'a gamba tesa' tipico dei ragazzi si sostituì una dialogo più completo, narrativo, originale: parlammo di hobby, di passioni, di quello che ci piace fare davvero nella vita e sorprendentemente scoprimmo di avere molti interessi in comune. Dopo una conversazione prolungata, anche quella chiacchierata giunse al punto cruciale: “voglio bere un caffè con te”, mi scrisse Laura. Che dire, non potevo più fingere il nulla: a dispetto dei miei pregiudizi e delle mie titubanze, il potere di Tinder era dimostrato. La mia ricerca iniziale indicava che avrei voluto conoscere ragazzi e ragazze dai 25 ai 35 anni nel raggio di 50 km. Avevo così seguito le indicazioni datemi da Tinder: “Scorri le foto verso destra per apprezzare o verso sinistra per ignorare. Se una persona ricambia l'apprezzamento, siete compatibili!”. Ho quindi iniziato a chattare con i presunti 'compatibili' aspettando che fossero loro a contattarmi, e alla fine il bottino di soli 5 giorni sono stati 10 match (e va considerato che ero stata molo selettiva nell'indicare le mie preferenze, il che già restringeva di molto il campo degli 'appetibili'), di cui una ragazza e nove ragazzi, 7 caffè in sospeso (roba da tachicardia, calcolando che fatico a bere espresso) e 3 conversazioni 'aperte' con un numero di telefono mai fornito e varie domande rimaste senza risposta. Tinder, “l'app che ti consente di conoscere persone interessanti nei tuoi dintorni”, aveva mantenuto la sua promessa, o almeno in parte. Era sulla dicitura “interessanti” che ci sarebbe stato da verificare di persona, 'sul campo' o meglio al bar, ma di questo diamo il beneficio del dubbio. Quello che è certo è che questa app si inserisce perfettamente nello stile di vita del mondo di oggi: sempre a rincorrere un tempo che ci fugge via veloci, in molti sentono la necessità di arrivare al 'tutto e subito'. C'è chi, come me, rimane ancora scettico dinnanzi a questi approcci: il tradizionale incontro faccia a faccia con i suoi discorsi un po' impacciati, la magia delle sensazioni a pelle e quell'imbarazzo che ti fa arrossire, lasciano in bocca il ricordo amaro di un romanticismo un po' perduto. Dietro alla prima conoscenza digitale a cui Tinder predispone, però, sembra rimanere sempre la voglia di un caffè insieme, quell'evergreen che può regalare ancora sorprese, e forse emozioni. Libero arbitrio.
“Ciao, come stai?”, mi scrisse Mattia, il mio primo match su Tinder. Fu già quello, sono sincera, un approccio che mi lasciò perplessa: “perché chiedere come stai ad una completa sconosciuta?” pensai tra me e me. La risposta, in realtà, mi sarebbe arrivata nel giro di poco, semplicemente sperimentando e conoscendo la realtà dell'app con il logo di fuoco, ma fino a quel momento l'unica cosa di cui ero certa era che per addentrarmi nelle sconosciute dinamiche della chat non dovevo pormi troppe domande. Così, allo slogan di “è Tinder, bellezza!”, mi misi il cuore in pace dai miei tanti pregiudizi e decisi di giocarmi il primo match per ciò che era. “Ciao”, risposi semplicemente, tralasciando il come stessi e aggiungendo un simpatico smile per non sembrare troppo 'menosa'. Chiaramente dell'interesse per la domanda iniziale non ci fu traccia e subito Mattia lanciò la seconda esca: “di dove sei?”. Fu un passo in avanti: quella domanda, almeno, aveva senso e mi consentì tra l'altro di capire ciò che altri contatti mi avrebbero in seguito di confermato: “come stai” era una riproduzione di quel “how do u do?” un po' sorpassato e formale, al quale si risponde semplicemente “how do u do?”, una domanda per una altra domanda, uno scambio di cortesia senza senso, uno sciogli lingua fine a se stesso. Presi tempo prima di rispondere, e mi decisi a guardare la sua breve galleria di foto: Tinder consente infatti di selezionare non più di sei foto per il proprio profilo, che non son molte, ma quanto basta per farsi un'idea fisica di chi c'è dietro lo schermo. Non potei fare a meno di notare che la foto con cui Mattia si era presentato era decisamente un po' 'pretenziosa' rispetto alle altre che scorsi, ad ogni modo mi convinsi che in fondo facciamo tutti un po così: è solo l'arte di apparire nell'era delle cose 'smart'. Ci scambiammo qualche informazione: lui studiava, io lavoravo, ma fu una conversazione breve la nostra, non stimolata da particolare interesse e Mattia doveva averlo capito, così dopo breve mollò il colpo. Nemmeno il tempo di rendersene conto, che il mio telefonò tornò a suonare: “Congratulations, you have a new match!”. “Di già!”, pensai. Erano passati poco più di tre quarti d'ora e già avevo due potenziali ragazzi compatibili che volevano fare la mia conoscenza: “Tinder, is how people meet!”, i suoi inventori dovevano aver fatto centro. La foto di Luca, il nuovo ragazzo teoricamente compatibile con me, non mi lasciò indifferente, e anche la sua età anagrafica lo rendeva potenzialmente 'appetibile': 33 anni, occhi scuri, sorriso seducente e viso vagamente intrigante. L'unico dubbio che mi sorse fu inerente la distanza che ci separava: 274 km da dove mi trovavo io. “Il servizio di geolocalizzazione di Tinder è 'in palla' ”, avevo pensato, poiché al momento di indicare una distanza di riferimento per i miei potenziali incontri avevo inserito un tetto massimo di 50 km da Lecco. Ma il dubbio mi fu presto risolto: Luca era un pilota di linea e quella sera si trovava fuori per lavoro, motivo per cui risultava così distante da dove stavo io. Il pilota milanese esordì quindi con un altro “ciao, come stai?”, nello stesso stile del mio primo match. “Ma allora è un vizio!”, pensai, e tuttavia risposi più cordialmente “Bene, grazie, e tu?”. Luca mi riassunse in breve quello che faceva nella vita, e mi chiese qualche altra informazione su di me. Anche lì, però, non andammo oltre il 'che fai, di dove sei': semplicemente, dopo le prime domande, non sapevo proprio cosa dirgli. Il mio obiettivo su Tinder, d'altronde, era scoprire come funzionasse l'app più che conoscere concretamente delle persone, il che non rese certo brillanti i miei scambi dialogici. Il giorno seguente arrivarono altri tre match: Marco, Sebastiano e Carlo approcciarono in modo differente, finalmente. Il primo fece un'uscita piuttosto brillante riferendosi ai miei occhi, il secondo senza salutare ipotizzò il mio paese di provenienza, andandoci molto vicino e il terzo modificò l'inutile domanda di cortesia da 'Come stai? A 'Tutto bene?, come se ci fossimo visti il giorno prima. Riposi a tutti loro, e mi resi conto che Tinder stava iniziando a mostrare il suo potenziale: bando alle ciancie, nel giro di due o tre messaggini uno mi di loro mi chiese se avevo whatsapp, cercando implicitamente di accaparrarsi i mio numero di telefono, e gli altri due proposero il 'caffè di conoscenza', che è un evergreen intramontabile. Uno di loro, addirittura, lo propose in giornata: precocissimo! Guardai le loro foto e le brevi indicazioni fornite: ragazzi carini, non per niente io stessa avevo premuto sul simbolo 'cuoricino' indicando il mio apprezzamento quando Tinder mi aveva mostrato sullo schermo del cellulare le loro foto tra le innumerevoli proposte di ragazzi e ragazze della mia zona. Avevo iniziato così un denso viavai di 'cuoricino/croce', che mi ricordava tanto i 'mi piace/non mi piace più' di Facebook, o i 'ce l'ho/mi manca' delle figurine Panini. Anche la lista della spesa mi girava nella testa: lo compro, non lo compro, aspetto l'offerta. Ad ogni modo, 5 contatti nei primi due giorni, 3 proposte di uscire (quella di Mattia, il primo match, arrivò infatti il giorno seguente), una richiesta di numero di telefono (cosa che non ottenne mai) e un solo contatto andato 'a vuoto': i giochi erano fatti, senza troppo impegno. Se fosse stato nelle mie intenzioni, avrei potuto uscire con loro e vedere se quello che in seguito ridefinii 'il potere di Tinder' fosse in grado davvero di fare centro o meno. Proseguendo nella mia esperienza online, feci anche altri incontri virtuali: tra gli altri match simili in cui mi imbattei, ci fu anche quello con una ragazza. La differenza nella conversazione fu lampante: all'approccio più 'a gamba tesa' tipico dei ragazzi si sostituì una dialogo più completo, narrativo, originale: parlammo di hobby, di passioni, di quello che ci piace fare davvero nella vita e sorprendentemente scoprimmo di avere molti interessi in comune. Dopo una conversazione prolungata, anche quella chiacchierata giunse al punto cruciale: “voglio bere un caffè con te”, mi scrisse Laura. Che dire, non potevo più fingere il nulla: a dispetto dei miei pregiudizi e delle mie titubanze, il potere di Tinder era dimostrato. La mia ricerca iniziale indicava che avrei voluto conoscere ragazzi e ragazze dai 25 ai 35 anni nel raggio di 50 km. Avevo così seguito le indicazioni datemi da Tinder: “Scorri le foto verso destra per apprezzare o verso sinistra per ignorare. Se una persona ricambia l'apprezzamento, siete compatibili!”. Ho quindi iniziato a chattare con i presunti 'compatibili' aspettando che fossero loro a contattarmi, e alla fine il bottino di soli 5 giorni sono stati 10 match (e va considerato che ero stata molo selettiva nell'indicare le mie preferenze, il che già restringeva di molto il campo degli 'appetibili'), di cui una ragazza e nove ragazzi, 7 caffè in sospeso (roba da tachicardia, calcolando che fatico a bere espresso) e 3 conversazioni 'aperte' con un numero di telefono mai fornito e varie domande rimaste senza risposta. Tinder, “l'app che ti consente di conoscere persone interessanti nei tuoi dintorni”, aveva mantenuto la sua promessa, o almeno in parte. Era sulla dicitura “interessanti” che ci sarebbe stato da verificare di persona, 'sul campo' o meglio al bar, ma di questo diamo il beneficio del dubbio. Quello che è certo è che questa app si inserisce perfettamente nello stile di vita del mondo di oggi: sempre a rincorrere un tempo che ci fugge via veloci, in molti sentono la necessità di arrivare al 'tutto e subito'. C'è chi, come me, rimane ancora scettico dinnanzi a questi approcci: il tradizionale incontro faccia a faccia con i suoi discorsi un po' impacciati, la magia delle sensazioni a pelle e quell'imbarazzo che ti fa arrossire, lasciano in bocca il ricordo amaro di un romanticismo un po' perduto. Dietro alla prima conoscenza digitale a cui Tinder predispone, però, sembra rimanere sempre la voglia di un caffè insieme, quell'evergreen che può regalare ancora sorprese, e forse emozioni. Libero arbitrio.
G.A.